Lo scorso 3 ottobre, il Consorzio Internazionale per il Giornalismo Investigativo, pubblicava su vari organi informativi alcuni segmenti di una lunga e meticolosa inchiesta denominata Pandora Papers: quasi 12 milioni di documenti riguardanti beni registrati in vari paradisi fiscali, appartenenti a una ristretta rosa di persone ricche e potenti. Così ricche e così potenti da poter aggirare a piacimento leggi e sistemi fiscali. L’inchiesta interessava oltre 90 paesi, e un arco temporale di 25 anni.
Non era la prima volta che si pubblicavano rivelazioni del genere. Nel 2016 c’erano stati i Panama
La sera del 30 aprile 1993, una densa folla stava in attesa davanti all’Hotel Raphaël, residenza romana di Bettino Craxi, ex presidente del Consiglio ed ex segretario del Partito Socialista Italiano. “Eccolo, eccolo!”, aveva improvvisamente urlato qualcuno, notando un movimento all’interno dell’edificio. Immagino che, quel giorno, Craxi avrebbe voluto tanto avere il dono dell’invisibilità. Invece, una volta varcata la soglia dell’hotel, dovette sopportare gli insulti di una massa inferocita che, trattenuta a stento da un cordone di agenti di polizia, gli lanciava contro monete e banconote.
Come
La sua storia l’hanno raccontata molti giornali, in questi giorni. Leonard ha ventisei anni, ed è arrivato in Italia viaggiando su una barca carica di migranti, come lui. Qualche anno fa, ha lasciato il suo paese, la Nigeria, e ha cominciato un lungo percorso verso nord. Verso la Libia, punto di partenza di tante traversate. Lui, in realtà, si ritiene fortunato, perché, a differenza di tanti altri, ce l’ha fatta. L’imbarcazione su cui viaggiava è stata soccorsa, e lui è sbarcato a Trapani, in Sicilia. Era il 6 dicembre del 2016, un martedì. Leonard ricorda bene quel viaggio. L’angoscia delle o
Umili barche di legno, protagoniste di una storia che sembra uscita dalle Metamorfosi di Ovidio. Barche di legno colorato che, cariche di migranti, hanno conosciuto il gelo ferreo del mare invernale e il sole infuocato dell’estate, quello che brucia la pelle, che si beve ogni lacrima. Barche di legno leggero, partite, anni fa, dalle coste dell’Africa del Nord. Dalla Libia, dalla Tunisia. Strette dalle dita di mille mani stanche. Barche che hanno conosciuto la disperazione e la speranza, e il coraggio infinito di chi non ha nulla da perdere, ma desidera, con tutta l’anima, un futuro. Un futuro
Il Mart, il Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, nel dare forma alla mostra che dedica ad Antonio Canova — e che sarà visitabile fino al 18 aprile — ha scelto un cammino estremamente originale.
Canova, tra innocenza e peccato — questo il titolo della mostra — si propone infatti di sviluppare un dialogo col presente, esplorando l’influsso delle opere del grande scultore veneto sui linguaggi artistici della contemporaneità, dalla scultura alla fotografia, mettendo in rilievo echi e contrasti.
Ed è forse proprio nel campo della fotografia che il percorso espositivo ideato d